coproduzione 2011 - 2012
Dewey Dell GRAVE
Immerso nel buio fondo e denso del teatro, lo spettatore è seduto a guardare una scatola nera, un muro scuro, piatto. Lo sguardo è perso nell'indistinto, cerca qualcosa su cui fissarsi, si sporge: dilata le pupille sperando in un riflesso, tende le orecchie alla ricerca del più piccolo scricchiolio. Saldo al suo posto, il pubblico si mette in bilico: esposto a ogni possibile gesto, a qualsiasi rumore, è teso verso il possibile che può irrompere, che deve interrompere l'informe. All'indefinito visivo si somma quello acustico. Quando lentamente emerge un suono confuso, la tensione aumenta; crescono i volumi, si esaspera il pro-tendere, fino al frastuono.
Sporgersi, tendere, cadere. I timpani si spaccano, crollano, sprofondati nell'ascolto, gli occhi scivolano in pupille troppo dilatate a cercare una luce. Nell'attimo della vertigine c'è sospensione, in quell'istante la più lunga durata. In Grave Dewey Dell mette in scena la caduta, quel momento velocissimo e fermo, quel secondo infinito e aperto, vivo d'adrenalina e indissolubilmente legato alla sua fine: il punto d'incontro tra peso e leggerezza che precede lo schianto. La luce flebile, gradualmente, scopre una sagoma in fondo al palco, fa emergere quei contorni che prima nascondeva, ne mostra la profondità. L'abisso si dipinge sulla figura china mentre avanza, sui suoi capelli ricci e pesanti rovesciati verso il basso, con luci dagli assi divergenti, lampeggianti in tonalità diverse. Se il palco è il baratro, allora sono gli occhi a viverlo in una vertigine orizzontale. Agata e Teodora Castellucci abitano questo spazio con pose spezzate, ma di movimenti fluidi, svincolati. Il volo, analizzato in lampi, si costruisce già attraverso le immagini del precipitato; ma quelle schiene incrinate, troncate in più punti, o le articolazioni slogate su arti rigidi, scivolando nell'aria si fanno vive, delicate. Creature lievi nella gravità. Grave, la prima, come peso trascinato a terra, dolorosa, disperata, chiusa; l'altra, grave come un accento, incurvata verso l'alto, aperta, coi capelli in aria. Esseri che nel loro stesso corpo, nella forma che disegnano, mostrano la rottura che le attende, ma libere in quell'istante dilatato, nella caduta. Matteo Vallorani
concept: Agata, Demetrio, Teodora Castellucci, Eugenio Resta con: Teodora Castellucci, Agata Castellucci coreografia: Teodora Castellucci musiche originali: Demetrio Castellucci luci: Eugenio Resta realizzazione costumi: Chiara Bocchini, Carmen Castellucci, Daniela Fabbri disegno di locandina: Clio Casadei produzione: Dewey Dell / Fies Factory coproduzione: Centrale Fies, Buda Kunstencentrum, Rencontres Chorégraphiques de Seine-Saint-Denis, Fabbrica Europa in collaborazione con: AMAT per Civitanova Danza con il sostegno di: Interplay Torino, Pontedera Teatro Era si ringrazia: Clàudia Tatinge Nascimento e quelli del Buio
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